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SPIRITO SANTO

SPIRITO SANTO
"VIENI, .."

BUONA S. PASQUA

BUONA S. PASQUA
La Resurrezione di Gesù porti il Suo Amore nei nostri cuori

Nel Corpo e nel Sangue di Gesù

Ciascun uomo possa "sentire e gustare" la presenza di Gesù e Maria, SS. Madre della Pentecoste, nella propria vita, in ogni attimo della propria giornata.

Nella Vita e nella Parola di Gesù l'uomo trovi la sua vera dimensione e riesca ad esprimerla con Amore e Carità.

Silenzioso Dio

Fatima

Fatima
Cappella delle Apparizioni

S. Maria del Cammino





Il Papa venuto da lontano....

Il Papa venuto da lontano....
Dono di Dio per tutti gli uomini

giovedì 30 settembre 2010

30 settembre 2010 Un pensiero al giorno di Giovanni Paolo II


San Girolamo, Sacerdote e dottore della Chiesa

 La consegna primaria che il Vaticano II ha affidato a tutti i figli e le figlie della Chiesa, è la santità. Non è una consegna di tipo semplicemente esortativo; essa è profondamente radicata dell’indole della Chiesa, corpo mistico di Cristo, i cui membri non possono essere estranei alla linfa santa e santificatrice che lo pervade.
La vocazione alla santità è irrinunciabile.
Nasce nel battesimo, ed è tale da poter essere esercitata in qualsiasi condizione di vita. Nel battesimo, sacramento della rinascita, il seguace di Cristo riceve la santità ontologica, viene costituito nella condizione di nuova creatura attraverso la grazia santificante. È un germe, un seme destinato a svilupparsi in un grande albero mediante le cure personali e il costante aiuto, che Dio, se invocato, non lascia mancare. È un dono, che diventa anche conquista.

[Angelus, 29 marzo 1987] 

mercoledì 29 settembre 2010

29 settembre 2010 Un pensiero al giorno di Giovanni Paolo II

Santi Michele, Gabriele e Raffaele
“L’indole secolare è propria e peculiare dei laici” (Lumen Gentium, 31).
Con questa affermazione il Concilio scolpisce l’aspetto specifico e distintivo della personalità ecclesiale dei fedeli laici. Membri a pieno titolo del Popolo di Dio e del corpo mistico, partecipi, mediante il battesimo, del triplice ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo, i laici esprimono ed esercitano le ricchezze di tale loro dignità vivendo nel mondo. Ciò che per gli appartenenti al ministero ordinato può costituire un compito aggiuntivo o eccezionale, per i laici è missione tipica.
Nel mondo della cultura, della ricerca scientifica, della politica, del lavoro, in tutte le branche della vita societaria, là i figli e le figlie della Chiesa, nella trama degli eventi quotidiani, mettono a frutto i carismi dell’identità cristiana. Lo fanno cooperando lealmente e consapevolmente al progresso cui tende in ogni campo la comunità umana, valutandone costantemente gli orientamenti e i metodi alla luce della visione trascendente, nella convinzione che l’attesa dei nuovi cieli e delle nuove terre “non deve indebolire, bensì deve piuttosto stimolare la sollecitudine nel lavoro relativo alla terra presente” (Gaudium et Spes, 39).

[Angelus, 15 marzo 1987]

martedì 28 settembre 2010

28 settembre 2010 Un pensiero al giorno di Giovanni Paolo II

Il sacerdozio comune dei fedeli è fondato sul sacramento del battesimo. Tutti i cristiani sono sacerdoti in senso vero e proprio. La Rivelazione lo afferma con chiarezza.
La dignità del sacerdozio comune comporta responsabilità, a cui i cristiani devono far fronte nella complessità delle situazioni nelle quali vivono insieme con gli altri uomini e le altre donne. Essi tuttavia non sono abbandonati a se stessi. Il Signore ha istituito il sacramento dell’ordine, che assicura la continuità delle funzioni che egli ha attribuito agli apostoli quali pastori della Chiesa da lui fondata. In ciò consiste il sacerdozio ministeriale, in forza del quale alcuni membri del Popolo di Dio, scelti e chiamati da Dio stesso, vengono insigniti individualmente di una sacra potestà, compiono “il sacrificio eucaristico in persona di Cristo e lo offrono a Dio a nome di tutto il popolo» (Lumen Gentium, 10).
Il magistero conciliare è molto preciso: “Il sacerdozio comune dei fedeli e il sacerdozio ministeriale o gerarchico, quantunque differiscano essenzialmente e non solo di grado, sono tuttavia ordinati l’uno all’altro, poiché l’uno e l’altro, ognuno a suo proprio modo, partecipano all’unico sacerdozio di Cristo» (Lumen Gentium, 10).

[Angelus, 8 marzo 1987]

lunedì 27 settembre 2010

Tribute to Chiara Luce: Beata Chiara Badano

27 settembre 2010 Un pensiero al giorno di Giovanni Paolo II

San Vincenzo de' Paoli, Sacerdote

Chi sono i laici? Nel rispondere il Concilio non intende alludere semplicemente a chi non è sacerdote o religioso e religiosa, quasi per ribadire, in forma negativa, che i laici sono coloro che non appartengono a queste categorie. No. Il Concilio apre una visione nettamente positiva. Si colloca dal punto di vista del “disegno” di Dio contenuto nella rivelazione. E risponde che i laici, insieme con la gerarchia, il clero e i religiosi sono il “popolo di Dio”…. È la Chiesa, questo popolo. Un popolo unito e ordinato. Non una massa informe, un agglomerato di individui incamminati verso diversi destini. Un vero popolo. Cioè una accolta di cristiani e di cristiane, che riconoscono una comune origine della medesima paternità divina, un comune cammino sull’unica strada che è Cristo redentore, una comune meta nell’incontro definitivo e beatificante con Dio. I laici sono a tutti gli effetti membri di questo popolo privilegiato. In esso “nessuna ineguaglianza... per riguardo alla stirpe o nazione, alla condizione sociale o al sesso...; comune è la dignità dei membri, comune la grazia dei figli, comune la vocazione alla perfezione”. Come in ogni organismo vivo, nel “popolo di Dio” c’è - non potrebbe non esservi - diversità di compiti. Tuttavia “vige una vera uguaglianza riguardo alla dignità e all’azione comune a tutti” (Lumen Gentium, 32).

[Angelus, 22 febbraio 1987]

domenica 26 settembre 2010

26 settembre 2010 Un pensiero al giorno di Giovanni Paolo II

L’applicazione delle direttive del Concilio circa il laicato cattolico ha reso più incisiva la presenza ecclesiale nel nostro tempo. Ma accanto alle luci non sono mancate le ombre. Un esame obiettivo della situazione nel suo insieme attesta che le difficoltà maggiori e certe polarizzazioni riguardanti sia la dottrina che l’applicazione dei documenti conciliari sono derivate da visioni parziali, da interpretazioni frammentarie ed equivoche, spesso contrarie allo spirito del Concilio e disattente alle precisazioni che il magistero ecclesiale è andato puntualmente offrendo.
La conseguenza è stata che, insieme con intuizioni e proposte interessanti e valide, sono emerse anche interpretazioni discutibili, che hanno creato confusione circa l’autentica natura della vocazione laicale. Sono stati accentuati alcuni aspetti a danno di altri: ciò ha ingenerato estremismi di segno opposto, o situando la funzione laicale esclusivamente all’interno delle strutture gerarchiche o disancorando l’impegno culturale-sociale del laico dalla fede religiosa, e finendo così per mortificare la vitalità dell’intero organismo della Chiesa. I fermenti positivi, tuttavia, prevalgono ampiamente sulle spinte negative. Maria santissima, che invochiamo col dolce titolo di “Aiuto dei cristiani”, sia a tutti di sostegno nell’urgente compito.

[Angelus, 15 febbraio 1987]

sabato 25 settembre 2010

25 settembre 2010 Un pensiero al giorno di Giovanni Paolo II

La “Vocazione e missione dei laici nella Chiesa e nel mondo” ha profonde radici nel Concilio Vaticano II che ha presentato i fedeli laici come membri attivi e responsabili della Chiesa, investiti della sua missione di salvezza. Lo ha fatto sia sul piano dottrinale come su quello pastorale, nel contesto della “ecclesiologia di comunione” che pervade tutti i suoi testi, così che in ognuno di essi è presente il ruolo del laicato. In tal modo ha dato una impostazione nuova, eminentemente positiva, alla funzione dei laici nel tessuto del “popolo di Dio” e del “corpo mistico di Cristo”; ha aperto larghe prospettive ai loro peculiari carismi e alla loro creatività.
Uno dei fenomeni positivi più comunemente avvertito è lo sviluppo dell’associazionismo sia nel mondo degli adulti che fra la gioventù. La consapevolezza che anche i fedeli laici sono costituzionalmente Chiesa, si è radicata più a fondo e più estesamente anche nelle altre componenti del “popolo di Dio”, soprattutto nella gerarchia, alla quale il Concilio ha assegnato come obbligo impellente di promuovere sinceramente il concreto riconoscimento della dignità dei laici.

[Angelus, 8 febbraio 1987]

venerdì 24 settembre 2010

24 settembre 2010 Un pensiero al giorno di Giovanni Paolo II

«Cristo ha amato la Chiesa» (Ef 5,25).

Dalla Parola di Dio desideriamo attingere la luce, e mediante la preghiera unirci a Colui che è la Sorgente della verità e della vita delle nostre anime.
«Cristo ha amato la Chiesa, ha amato, e ha dato se stesso per lei, per renderla santa... al fine di farsi comparire davanti la sua Chiesa tutta gloriosa» (Ef 5,25-27).
Recitando l’Angelus meditiamo sul primo e decisivo momento di quell’amore di Cristo verso la Chiesa: cioè verso tutti gli uomini abbracciati dalla potenza del suo mistero salvifico.
È per quest’amore che il Verbo si è fatto Uomo. “E il Verbo si è fatto carne”, come meditiamo nella nostra preghiera. Pertanto, meditiamo in essa sull’amore di Cristo, del Verbo Incarnato, verso la Chiesa in ogni uomo.
Meditiamo sull’amore di Cristo verso ogni uomo, che in qualsiasi modo viene abbracciato dal mistero della Chiesa.


[Angelus, 22 agosto 1982]

giovedì 23 settembre 2010

23 settembre 2010 Un pensiero al giorno di Giovanni Paolo II

S. Pio da Pietralcina

Oggi ricorre la nascita al cielo di Padre Pio. Col suo insegnamento ed il suo esempio, ci invita alla preghiera, al ricorso alla misericordia divina mediante il sacramento della Penitenza e all’amore del prossimo. Egli ci invita, in particolare, ad amare e venerare la Vergine Maria.
La sua devozione alla Madonna traspare in ogni manifestazione della sua vita: nelle parole e negli scritti, negli insegnamenti e nei consigli che dispensava ai numerosi suoi figli spirituali. Autentico figlio di Francesco d’Assisi, dal quale aveva appreso a rivolgersi a Maria con splendide espressioni di lode e di amore (cfr Saluto alla Vergine, in: Fonti Francescane, 59), San Pio da Pietrelcina non si stancava di inculcare nei fedeli una devozione alla Madonna tenera, profonda e radicata nella genuina tradizione della Chiesa. Nel segreto del confessionale, come nella predicazione, tornava sempre ad esortare: amate la Madonna!

[cfr. Angelus, 2 maggio 1999]

mercoledì 22 settembre 2010

22 settembre 2010 Un pensiero al giorno di Giovanni Paolo II

«Se uno vuol essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti» (Mc 9,35).


Tali parole sono state pronunziate dal Signore Gesù agli Apostoli. Rivolgiamo una particolare attenzione alle parole di Maria: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto» (Lc 1,38).
La serva del Signore. Così ha chiamato se stessa la Vergine di Nazaret nel momento dell’Annunciazione. Ecco, per opera dello Spirito Santo è diventata la Madre di Dio-Figlio. Questa fu la suprema elevazione che l’uomo poteva ottenere. E, proprio dinanzi a una tale elevazione, Maria chiama se stessa la Serva; Serva del Signore! Quanto profondamente s’incide il suo servizio nel mistero stesso dell’elevazione mediante la Maternità Divina!
Quanto è fedele, sin dall’inizio, la Madre al Figlio che un giorno dirà agli Apostoli: “se uno vuol essere il primo, sia... il servo di tutti”!

[Angelus, 19 settembre 1982]

martedì 21 settembre 2010

Salmo 18 - I cieli narrano la gloria di Dio

21 settembre 2010 Un pensiero al giorno di Giovanni Paolo II

  
San Matteo

Quando fu condotto a Gesù un sordomuto, egli «guardando... verso il cielo, emise un sospiro e disse - “Effathà” cioè: “Apriti!”. E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente» (Mc 7,34-35).
L’avvenimento, pieno di una profonda eloquenza, è entrato nella liturgia del Battesimo. Il sacerdote, infatti, tocca le labbra e gli orecchi del battezzando, mentre prega che egli possa presto ascoltare ed annunziare la parola del Signore.
“Effathà”: l’ordine fu diretto, allora, ad un sordomuto, affinché si aprissero i suoi sensi e incominciassero a funzionare in modo normale. “Effathà”, lo stesso ordine è diretto, ora, all’uomo interiore, perché si apra ai divini Misteri, mediante la luce della fede, mediante l’amore, la speranza. Perché viva, sempre più intensamente, la vita divina innestata nella sua anima mediante il Battesimo.

[Angelus, 5 settembre 1982]

lunedì 20 settembre 2010

20 settembre 2010 Un pensiero al giorno di Giovanni Paolo II


Il tema del lavoro umano è tema perenne, antico come l’uomo, antico come la Rivelazione divina nella storia dell’uomo. Oggi occorre rivolgere la nostra attenzione a quel particolare legame che esiste tra il lavoro umano e la vita della famiglia.
La famiglia trova nel lavoro il sostegno al suo sviluppo ed alla sua unione, il fattore centrale che ne condiziona la vita, la qualifica, le dà il suo ritmo e costituisce un elemento di coesione e di stabilità.
Il lavoro, pertanto, appartiene all’ambito di ciò che l’uomo ama, di ciò per cui vive, cioè appartiene all’ambito dell’amore….. Il lavoro dunque non può disgregare la famiglia, ma deve invece unirla, aiutarla a rafforzarsi.
A causa del lavoro la famiglia non diventi un superficiale incontro di esseri umani, un albergo di transizione solo per i pasti e il riposo! Perciò, infine, è indispensabile che “i diritti della famiglia (siano) profondamente iscritti nelle basi stesse di ogni codice del lavoro, che ha per soggetto proprio l’uomo e non solo la produzione e il profitto”.

[Angelus, 25 ottobre 1981]

domenica 19 settembre 2010

19 settembre 2010 Un pensiero al giorno di Giovanni Paolo II

Che cosa è il lavoro?
Esso è collaborazione con Dio nel perfezionamento della natura, secondo il precetto biblico di soggiogare la terra. Il Creatore volle l’uomo esploratore, conquistatore, dominatore della terra e dei mari, dei loro tesori, delle loro energie, dei loro segreti, così che l’uomo riacquista la sua vera grandezza di “partner di Dio”.
Per questo il lavoro è nobile e sacro: è il titolo della sovranità umana sul creato.
Il lavoro inoltre è mezzo di unione e di solidarietà, che rende fratelli gli uomini, li educa alla cooperazione, li fortifica nella concordia, li stimola alla conquista delle cose, ma soprattutto della speranza, della libertà, dell’amore.
Mediante le divisioni funzionali della produzione il lavoro può creare un tessuto di collaborazione cosciente e compatto, e rende la società più armonicamente operante verso il traguardo di un ordine giusto per tutti. Per tutto questo la Chiesa lo incoraggia e lo benedice.
Ognuno di noi è uno di quelli che sentono la chiamata del Padre: «Va’ oggi a lavorare nella vigna» (Mt 21,28). Il lavoro ha il suo senso non solo nella costruzione della “città terrestre”, ma anche nella costruzione del regno di Dio.

[Angelus, 27 settembre 1981]

sabato 18 settembre 2010

18 settembre 2010 Un pensiero al giorno di Giovanni Paolo II

Che cosa è il lavoro umano?
A questo interrogativo non si può dare che una risposta articolata. Esso è innanzitutto una prerogativa dell’uomo-persona, un fattore di compiutezza umana, che appunto aiuta l’uomo ad essere più uomo. Senza il lavoro egli non solo non può alimentarsi ma neppure autorealizzarsi, ossia raggiungere la sua vera dimensione. In secondo luogo, e di conseguenza, il lavoro è una necessità, un dovere, che dona all’essere umano vita, serenità, impegno, significato. L’apostolo Paolo, ricordiamolo, ammonisce severamente: «Chi non vuole lavorare non mangi» (2Ts 3,10).
Quindi ciascuno è chiamato a svolgere un’attività, a qualunque livello essa si collochi, mentre vengono condannati l’ozio e lo sfruttamento. Inoltre, il lavoro è un diritto, è il grande e fondamentale diritto dell’uomo. In quanto tale, esso deve essere promosso e salvaguardato dalla società anche nell’eventuale conflitto con altri diritti. A queste condizioni, il lavoro diventa anche un servizio, così che l’uomo cresce nella misura in cui dona se stesso per gli altri. E da questa armonia trae vantaggio non solo l’individuo, ma anche la società stessa.

[Angelus, 20 settembre 1981]

venerdì 17 settembre 2010

17 settembre 2010 Un pensiero al giorno di Giovanni Paolo II

«Il Signore è vicino a quanti lo invocano, a quanti lo cercano con cuore sincero» (Sal 145,18).
La preghiera opera proprio questo: avvicina noi a Dio ed avvicina Dio a noi. E questo insegna a noi tutti, in modo semplice e al tempo stesso perfetto, Maria di Nazaret. Quando ci riuniamo per “l’Angelus Domini” allora non tanto pronunciamo le parole di questa preghiera, quanto facciamo rivivere nella memoria e nel cuore quelle stesse parole, con le quali lei, la Vergine, ha parlato con Dio in quel momento ineffabile, quando, dalla bocca di Gabriele, essa apprese della sua vocazione ad esser Madre del Verbo Eterno.
Dio non fu mai così vicino all’uomo - e l’uomo mai così vicino a Dio - come proprio in quel momento: nell’istante del mistero della Incarnazione! Recitando l’Angelus impariamo dunque da Maria la vicinanza di Dio. Impariamo che egli “è vicino a quanti lo invocano, a quanti lo cercano con cuore sincero”.

[Angelus, 2 agosto 1981]

giovedì 16 settembre 2010

16 settembre 2010 Un pensiero al giorno di Giovanni Paolo II


Essere cristiano vuol dire tenere fisso lo sguardo su Cristo come sulla guida nella fede. Egli ha iniziato a condurci su questa strada della fede, quando è divenuto uomo, e ci conduce su di essa mediante la sapienza e la semplicità, sempre vive, della parola del suo Vangelo, intrecciato col mistero pasquale della sua morte e risurrezione.
Questa mirabile guida permane per sempre, vivificando i cuori umani nella potenza dello Spirito Santo, e facendo di essi una comunità dell’unico Popolo di Dio, che, in tutta la terra, da oriente fino a occidente, non cessa di aspirare al compimento dei misteri e delle promesse della fede. Ecco, il Cristo delle nostre anime! Il Cristo della Chiesa! Il Cristo della storia dell’umanità!
Ed ecco Maria-Vergine, Maria-Madre di Cristo, di cui l’evangelista dice che «serbava nel suo cuore tutte queste cose» (Lc 2,51) e anche tutte le vicende di cui furono composti gli anni della vita del suo Figlio, in particolare quelli trascorsi nel nascondimento a Nazaret.

[Angelus, 17 agosto 1980]

mercoledì 15 settembre 2010

15 settembre 2010 Un pensiero al giorno di Giovanni Paolo II


“Stabat Mater dolorosa...”, “La Madre addolorata stava in piedi, piangendo presso la Croce, da cui pendeva il Figlio”. Oggi, 15 settembre, nel calendario liturgico ricorre la memoria dei dolori della Beata Vergine Maria. Essa è preceduta dalla festa dell’Esaltazione della Santa Croce, che abbiamo celebrato ieri. Quale sconvolgente mistero è la Croce! La Vergine Santissima avrebbe potuto ripetere - e con maggior verità! - queste stesse parole. Contemplando sul Calvario il Figlio morente, aveva capito che il “vanto” della sua maternità divina raggiungeva in quel momento il suo culmine partecipando direttamente all’opera della Redenzione. Aveva inoltre capito che ormai il dolore umano, fatto proprio dal Figlio crocifisso, acquistava un valore inestimabile. Oggi, dunque, la Vergine Addolorata, ritta accanto alla Croce, con la muta eloquenza dell’esempio ci parla del significato della sofferenza nel piano divino della Redenzione. Intimamente arricchita da questa ineffabile esperienza, ella s’accosta a chi soffre, lo prende per mano, lo invita a salire con lei sul Calvario e a sostare davanti al Crocifisso. In quel corpo martoriato c’è l’unica risposta convincente agli interrogativi che salgono imperiosi dal cuore.


[Angelus, 15 settembre 1991]

martedì 14 settembre 2010

14 settembre 2010 Un pensiero al giorno di Giovanni Paolo II


Il Cristianesimo ha nella Croce il suo simbolo principale. Dovunque il Vangelo ha posto radici, la Croce sta ad indicare la presenza dei cristiani. Nelle chiese e nelle case, negli ospedali, nelle scuole, nei cimiteri la Croce è diventata il segno per eccellenza di una cultura che attinge dal messaggio di Cristo verità e libertà, fiducia e speranza.

Anche oggi, alla scuola degli antichi Padri, la Chiesa presenta al mondo la Croce quale “albero della vita”, dal quale si può cogliere il senso ultimo e pieno di ogni singola esistenza e dell’intera storia umana.

Da quando Gesù ne ha fatto lo strumento della salvezza universale, la Croce non è più sinonimo di maledizione ma, al contrario, di benedizione. All’uomo tormentato dal dubbio e dal peccato, essa rivela che «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna» (Gv 3,16).

In una parola, la Croce è il supremo simbolo dell’amore.

[Angelus, 15 settembre 2002]

lunedì 13 settembre 2010

Esaltazione della Santa Croce

La croce, punto di congiunzione tra Dio e il mondo - padre Ermes Ronchi

L’ unica parola che il cristiano ha da consegnare al mondo è la parola della Croce. Dio è entrato nella tragedia dell’uomo, perché l’uomo non vada perduto, con il mezzo scandalosamente povero e debole della croce. Per sapere chi sia Dio devo inginocchiarmi ai piedi della croce ( Karl Rahner).

Tra i due termini, Dio e mondo, Dio e uomo, che tutto dice lontanissimi, incomunicabili, estranei, le parole del Vangelo indicano il punto di incontro: il disceso innalzato, al tempo stesso Figlio dell’uomo e Figlio del cielo. Cristo si è abbassato, scrive Paolo, fino alla morte di croce; Cristo è stato innalzato sulla croce, dice Giovanni, attirando tutto a sé.

Tra Dio e il mondo il punto di congiunzione è la croce, che solleva la terra, abbassa il cielo, raccoglie i quattro orizzonti, è crocevia dei cuori dispersi.

Colui che era disceso risale per l’unica via, quella della dismisura dell’amore. Per questo Dio lo ha risuscitato, per questo amore senza misura.

L’essenza del cristianesimo sta nella contemplazione del volto del crocifisso ( Carlo Maria Martini), porta che apre sull’essenza di Dio e dell’uomo: essere legame e fare dono.

Ha tanto amato il mondo da dare il Figlio. Mondo amato, terra amata. Da queste parole sorgive, iniziali ripartire: «Noi non siamo cristiani perché amiamo Dio. Siamo cristiani perché crediamo che Dio ci ama» ( P. Xardel).

E noi qui a stupirci che, dopo duemila anni, ci innamoriamo ancora di Cristo proprio come gli apostoli. Quale attrazione esercita la croce, quale bellezza emana per sedurci?

Sulla croce si condensa la serietà e la dismisura, la gratuità e l’eccesso del dono d’amore; si rivela il principio della bellezza di Dio: il dono supremo della sua vita per noi.

Lo splendore del fondamento della fede, che ci commuove, è qui, nella bellezza dell’atto di amore.

Suprema bellezza è quella accaduta fuori Gerusalemme, sulla collina, dove il Figlio di Dio si lascia annullare in quel poco di legno e di terra che basta per morire. Veramente divino è questo abbreviarsi del Verbo in un singulto di amore e di dolore: qui ha fine l’esodo di Dio, estasi del divino. Arte di amare.

Bella è la persona che ama, bellissimo l’amore fino all’estremo. In quel corpo straziato, reso brutto dallo spasimo, in quel corpo che è il riflesso del cuore, riflesso di un amore folle e scandaloso fino a morirne, lì è la bellezza che salva il mondo, lo splendore del fondamento, che ci seduce.


( Esaltazione della Santa Croce (14/09/2008) - Vangelo: Gv 3,13-17)

Riscoprire la croce di Cristo, strumento di salvezza - padre Raniero Cantalamessa

Oggi la croce non è presentata ai fedeli nel suo aspetto di sofferenza, di dura necessità della vita, o anche di via per cui seguire Cristo, ma nel suo aspetto glorioso, come motivo di vanto, non di pianto. Diciamo anzitutto qualcosa sull'origine della festa. Essa ricorda due avvenimenti distanti tra loro nel tempo. Il primo è l'inaugurazione, da parte dell'imperatore Costantino, di due basiliche, una sul Golgota e una sul sepolcro di Cristo, nel 325. L'altro avvenimento, del secolo VII, è la vittoria cristiana sui persiani che portò al recupero delle reliquie della croce e al loro ritorno trionfale a Gerusalemme. Con il passar del tempo, la festa però ha acquistato un significato autonomo. E' diventata celebrazione gioiosa del mistero della croce che, da strumento di ignominia e di supplizio, Cristo ha trasformato in strumento di salvezza.

Le letture riflettono questo taglio. La seconda lettura ripropone il celebre inno della Lettera ai Filippesi, dove la croce è vista come il motivo della grande "esaltazione" di Cristo: "Umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio l'ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre". Anche il Vangelo parla della croce come del momento in cui "il Figlio dell'uomo è stato innalzato perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna".

Ci sono stati, nella storia, due modi fondamentali di rappresentare la croce e il crocifisso. Li chiamiamo, per comodità, il modo antico e il modo moderno. Il modo antico, che si può ammirare nei mosaici delle antiche basiliche e nei crocifissi dell'arte romanica, è un modo glorioso, festoso, pieno di maestà. La croce, spesso da sola, senza il crocifisso sopra, appare punteggiata di gemme, proiettata contro un cielo stellato, con sotto la scritta: "Salvezza del mondo, salus mundi", come in un celebre mosaico di Ravenna.

Nei crocifissi lignei dell'arte romanica, questo stesso tipo di rappresentazione si esprime nel Cristo che troneggia in vestimenti regali e sacerdotali dalla croce, con gli occhi aperti, lo sguardo frontale, senza ombra di sofferenza, ma irraggiante maestà e vittoria, non più coronato di spine, ma di gemme. E' la traduzione in pittura del versetto del salmo "Dio ha regnato dal legno" (regnavit a ligno Deus). Gesù parlava della sua croce in questi stessi termini: come del momento della sua "esaltazione": "Io, quando sarò esaltato da terra, attirerò tutti a me" (Gv 12, 32).

Il modo moderno comincia con l'arte gotica e si accentua sempre di più, fino a diventare il modo ordinario di rappresentare il crocifisso, in epoca moderna. Un esempio estremo è la crocifissione di Matthias Grünewald nell'Altare di Isenheim. Le mani e i piedi si contorcono come sterpi intorno ai chiodi, il capo agonizza sotto un fascio di spine, il corpo tutto piagato. Anche i crocifissi di Velasquez e di Salvador Dalì e di tanti altri appartengono a questo tipo.

Tutti e due questi modi mettono in luce un aspetto vero del mistero. Il modo moderno - drammatico, realistico, straziante - rappresenta la croce vista, per così dire, "davanti", "in faccia", nella sua cruda realtà, nel momento in cui vi si muore sopra. La croce come simbolo del male, della sofferenza del mondo e della tremenda realtà della morte. La croce è rappresentata qui "nelle sue cause", cioè in quello che, di solito, la produce: l'odio, la cattiveria, l'ingiustizia, il peccato.

Il modo antico metteva in luce, non le cause, ma gli effetti della croce; non quello che produce la croce, ma quello che è prodotto dalla croce: riconciliazione, pace, gloria, sicurezza, vita eterna. La croce che Paolo definisce "gloria" o "vanto" del credente. La festa del 14 Settembre si chiama "esaltazione" della croce, perché celebra proprio questo aspetto "esaltante", della croce.

Bisogna unire, al modo moderno di considerare la croce, quello antico: riscoprire la croce gloriosa. Se al momento in cui la prova era in atto, poteva esserci utile pensare a Gesù sulla croce tra dolori e spasimi, perché questo ce lo faceva sentire vicino al nostro dolore, ora bisogna pensare alla croce in altro modo. Mi spiego con un esempio. Abbiamo di recente perso una persona cara, forse dopo mesi di grandi sofferenze. Ebbene, non continuare a pensare a lei come era sul suo letto; in quella circostanza, in quell'altra, come era ridotta alla fine, cosa faceva, cosa diceva, torturandosi magari il cuore e la mente, alimentando inutili sensi di colpa. Tutto questo è finito, non esiste più, è irrealtà; così facendo non facciamo che prolungare la sofferenza e conservarla artificialmente in vita.

Vi sono mamme (non lo dico per giudicarle, ma per aiutarle) che dopo aver accompagnato per anni un figlio nel suo calvario, una volta che il Signore l'ha chiamato a sé, si rifiutano di vivere altrimenti. In casa tutto deve restare com'era al momento della morte del figlio; tutto deve parlare di lui; visite continue al cimitero. Se vi sono altri bambini in famiglia, devono adattarsi a vivere anch'essi in questo clima ovattato di morte, con grave danno psicologico. Ogni manifestazione di gioia in casa sembra loro una profanazione. Queste persone sono quelle che hanno più bisogno di scoprire il senso della festa di domani: l'esaltazione della croce. Non più tu che porti la croce, ma la croce che ormai porta te; la croce che non ti schiaccia, ma ti innalza.

Bisogna pensare la persona cara come è ora che "tutto è finito". Così facevano con Gesù quegli antichi artisti. Lo contemplavano come è ora: risorto, glorioso, felice, sereno, seduto sullo stesso trono di Dio, con il Padre che ha "asciugato ogni lacrima dai suoi occhi" e gli ha dato "ogni potere nei cieli e sulla terra". Non più tra gli spasimi dell'agonia e della morte. Non dico che si possa sempre comandare al proprio cuore e impedirgli sanguinare al ricordo di quello che è stato, ma bisogna cercare di far prevalere la considerazione di fede. Se no, a che serve la fede?

(Esaltazione della Santa Croce (14/09/2008); commento al Vangelo: Gv 3,13-17)

13 settembre 2010 Un pensiero al giorno di Giovanni Paolo II


«La fede è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono» (Eb 11,1).
La fede è il pellegrinaggio spirituale in cui l’uomo s’incammina, seguendo la parola del Dio vivente, per arrivare alla terra della pace promessa e della felicità, all’unione con Dio “faccia a faccia”; a quella unione che riempirà, nel cuore umano, la fame e la sete più profonda: la fame della verità e la sete dell’amore.
Perciò, l’atteggiamento di spirito, che si addice al credente, è l’atteggiamento di vigilanza: «Anche voi tenetevi pronti, perché il Figlio dell’uomo verrà nell’ora che non pensate» (Lc 12,40).
Una simile vigilanza è anche l’espressione dell’aspirazione spirituale a Dio mediante la fede.



[Angelus, 10 agosto 1980]

domenica 12 settembre 2010

12 settembre 2010 Un pensiero al giorno di Giovanni Paolo II


Santissimo nome Maria

«Ecco, io faccio nuove tutte le cose» (Ap. 21,5). Nell’Apocalisse risuona con vigore il Vangelo della speranza, che spinge ad accogliere la “novità di Dio”, dono escatologico che va oltre ogni umana possibilità, e che solo lui può operare. Questa “novità” avrà realizzazione piena alla fine dei tempi, ma è già presente nella storia. Sin d’ora, infatti, attraverso la Chiesa, Iddio sta rinnovando e trasformando il mondo, e i riflessi della sua azione sono percepibili anche in ogni forma di umana convivenza animata dal Vangelo”. Il continente europeo, che da due millenni ascolta il Vangelo del regno inaugurato da Gesù, non può non lasciarsi interpellare da questa “novità”. La fede cristiana gli ha dato forma, e alcuni suoi valori fondamentali hanno in seguito ispirato “l’ideale democratico e i diritti umani” della modernità europea.
Non si può negare che, in questi nostri tempi, l’Europa attraversi una crisi di valori, ed è importante che recuperi la sua vera identità. Il processo di allargamento dell’Unione Europea ad altri Paesi non può riguardare unicamente aspetti geografici ed economici, ma deve tradursi in una rinnovata concordia di valori da esprimere nel diritto e nella vita.

[Angelus, 17 agosto 2003]

sabato 11 settembre 2010

11 settembre 2010 Un pensiero al giorno di Giovanni Paolo II

Servire il Vangelo della speranza: è questa la missione della Chiesa. Questa missione la Chiesa svolge, accompagnando l’annuncio della speranza con iniziative concrete di carità. È quanto è avvenuto nel corso dei secoli: il compito dell’evangelizzazione è stato confortato da un’efficace azione di promozione umana. Ponendosi al servizio della carità, la Chiesa ha alimentato ed alimenta la cultura della solidarietà, cooperando a ridare vita ai valori universali dell’umana convivenza. Occorre anche oggi “ridare speranza ai poveri”, perché accogliendoli e servendoli è Cristo stesso che si accoglie e si serve. Le sfide che in questo ambito interpellano i credenti … sono molte. Povere sono oggi tante categorie di persone, tra le quali i disoccupati, i malati, gli anziani soli o abbandonati, i senza tetto, i giovani emarginati, gli immigrati e i profughi.
Servizio di amore è inoltre riproporre con fedeltà la verità del matrimonio e della famiglia, ed educare i giovani, i fidanzati e le famiglie stesse a vivere e diffondere il “Vangelo della vita”, lottando contro la “cultura della morte”. Solo grazie all’apporto di tutti è possibile costruire nel mondo una “città degna dell’uomo” e un ordine internazionale più giusto e solidale.

[Angelus, 10 agosto 2003]

venerdì 10 settembre 2010

10 settembre 2010 Un pensiero al giorno di Giovanni Paolo II

L’Europa è il continente che, nei due trascorsi millenni, più di ogni altro è stato segnato dal cristianesimo. Dalle sue terre - nelle abbazie, nelle cattedrali, nelle chiese - si è levata incessante la lode a Cristo, Signore del tempo e della storia.
Il Battesimo e gli altri Sacramenti hanno consacrato le stagioni della vita di innumerevoli credenti.
L’Eucaristia, specialmente nel Giorno del Signore, ha nutrito la loro fede ed il loro amore; la Liturgia delle Ore e molte forme popolari di preghiera ne hanno scandito il ritmo giornaliero.
Anche se tutto ciò non è venuto meno in questo nostro tempo, è però indispensabile un rinnovato impegno di fronte alle sfide della secolarizzazione, perché l’intera esistenza dei credenti sia un vero culto spirituale gradito a Dio.
Particolare attenzione va riservata alla salvaguardia del valore della Domenica, Dies Domini.
Questo giorno è simbolo per eccellenza di ciò che il cristianesimo ha rappresentato e rappresenta per l’Europa e per il mondo: la perenne proclamazione della buona notizia della risurrezione di Gesù, la celebrazione della sua vittoria sul peccato e sulla morte, l’impegno per la piena liberazione dell’uomo.

[Angelus, 3 agosto 2003]

giovedì 9 settembre 2010

09 settembre 2010 Un pensiero al giorno di Giovanni Paolo II

«Se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà» (Mt 18,19).
Queste parole, accolte con fede, aprono il cuore alla fiducia. Iddio è padre misericordioso, che ascolta l’invocazione dei suoi figli di adozione. Quando i credenti pregano, fanno breccia nel cuore di Dio, al quale nulla è impossibile.
Occorre per questo, che essi si distinguano nell’arte della preghiera, così che tutte le comunità cristiane diventino “autentiche scuole di preghiera”.
Assistiamo purtroppo non raramente a vicende ed eventi drammatici, che seminano nell’opinione pubblica smarrimento ed angoscia.
L’uomo moderno appare sicuro di sé, eppure, specialmente in occasioni cruciali, deve fare i conti con la sua impotenza: sperimenta l’incapacità ad intervenire e, di conseguenza, vive nell’incertezza e nella paura. È nella preghiera fatta con fede che sta il segreto per affrontare, non solo nelle emergenze, ma giorno dopo giorno, le fatiche e i problemi personali e sociali. Chi prega non si scoraggia neppure davanti alle difficoltà più gravi, perché sente Dio accanto e trova rifugio, serenità e pace fra le sue braccia paterne.

[Angelus, 8 settembre 2002]

mercoledì 8 settembre 2010

08 settembre 2010 Un pensiero al giorno di Giovanni Paolo II


“Celebriamo con gioia la natività della Beata Vergine Maria. Da lei è sorto il sole di giustizia, Cristo nostro Dio!”.
Con queste parole la liturgia odierna ricorda un avvenimento fondamentale e determinante nella storia dell’umanità e della Chiesa: la nascita di Maria Santissima, la Madre del Verbo Incarnato. Di fronte ad un evento così importante, che tocca in profondità l’animo dei cristiani, restiamo in assorta contemplazione.
Veneriamo Maria, scelta da Dio per diventare Madre del Redentore. Maria è nata per Gesù, volendo Dio incarnarsi mediante l’amore di una madre. Maria è nata per l’umanità intera, alla quale ha donato il Salvatore. Maria è nata per ognuno di noi in particolare, e desidera soltanto il nostro bene nella prospettiva dell’eternità.
E noi invochiamo Maria, nostra Madre celeste: la preghiamo per noi stessi e per l’umanità con la stessa fiducia con la quale l’hanno invocata le generazioni cristiane che ci hanno preceduto. La bambina appena nata, che oggi celebriamo, è il capolavoro della grazia divina. È la Madre di Dio, la Regina del cielo e della terra.

[Angelus, 8 settembre 1991]

martedì 7 settembre 2010

07 settembre 2010 Un pensiero al giorno di Giovanni Paolo II

Essere discepoli di Cristo è impegnativo ed esigente, come ricorda Gesù stesso nel brano evangelico: «Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mt 16, 24).
Rinnegare se stessi ed accettare la croce significa morire al proprio orgoglio e fidarsi totalmente di Dio, vivendo come Cristo nella totale dedizione al Padre e ai fratelli.
All’insegnamento di Gesù fa eco San Paolo che, scrivendo ai cristiani di Roma, li esorta a non conformarsi alla mentalità del mondo, ma ad offrire piuttosto tutta la loro esistenza in sacrificio vivente, santo e gradito a Dio (cfr Rm 12,1-2).
La sequela di Cristo comporta un itinerario segnato spesso da incomprensioni e sofferenze.
Nessuno si faccia illusioni: oggi, come ieri, essere cristiani significa andare controcorrente rispetto alla mentalità di questo mondo, cercando non il proprio interesse e il plauso degli uomini, ma unicamente la volontà di Dio ed il vero bene del prossimo.

[Angelus, 30 agosto 1999]

lunedì 6 settembre 2010

06 settembre 2010 Un pensiero al giorno di Giovanni Paolo II

È urgente promuovere tra gli uomini del nostro tempo una cultura ed una politica della solidarietà, che comincino nell’intimo di ciascuno, nella capacità di lasciarsi interpellare da chi è nel bisogno. Certamente, di fronte alla complessità dei problemi, non basta l’impegno personale. Su alcuni problemi, come quello del debito internazionale dei Paesi poveri, occorre una risposta concertata da parte della Comunità delle Nazioni.
Tuttavia, solo se la cultura della solidarietà crescerà all’interno delle persone e delle famiglie, si potrà giungere in modo efficace a risolvere le grandi sfide dell’indigenza e dell’ingiustizia sociale. Come ho raccomandato nella Lettera Apostolica Dies Domini, la domenica deve essere giorno speciale di carità per essere vissuta fino in fondo quale giorno del Signore.

[Angelus, 27 settembre 1998]

domenica 5 settembre 2010

05 settembre 2010 Un pensiero al giorno di Giovanni Paolo II

Beata Teresa di Calcutta


La domenica è il giorno che rivela il senso del tempo. Ognuno di noi è costretto ogni giorno a constatare come scorra veloce il tempo della sua vita. E se poi guardiamo ai grandi tempi della storia, come non interrogarci sul nostro futuro, su che cosa ci attenda, sul traguardo a cui tendiamo?
A queste domande il cristianesimo risponde additando Cristo come il senso stesso della storia. Nel suo mistero divino-umano, infatti, egli sta alle origini del mondo ed è il fine della creazione. Come Redentore, è colui nel quale tutto è stato ricapitolato per essere salvato e riconsegnato a Dio Padre.
Alla luce di questo mistero, la storia assume per i cristiani un senso positivo, nonostante le prove e i rischi talvolta mortali a cui la sottopone il peccato. Cristo è più forte del peccato e della morte! E la domenica, riconsegnando costantemente al tempo la memoria della sua risurrezione, è un’apertura di credito sul futuro, una certezza consolante, un rimando profetico al giorno in cui Cristo verrà nella gloria.

[Angelus, 23 agosto 1998]

venerdì 3 settembre 2010

03 settembre 2010 Un pensiero al giorno di Giovanni Paolo II

L’assemblea eucaristica costituisce il cuore del giorno del Signore. Per vivere bene la domenica, il primo dovere è, pertanto, quello di partecipare alla Santa Messa. Si tratta di un obbligo grave, come ha ribadito il Catechismo della Chiesa Cattolica (n. 2181), ma, prima ancora, è un’esigenza profonda, che un’anima cristiana non può non sentire. In ogni Eucaristia si rinnova il sacrificio compiuto una volta per sempre sul Golgota, e la Chiesa, unendo il suo sacrificio a quello del Signore, annuncia la sua morte e proclama la sua risurrezione in attesa della sua venuta. La domenica è particolarmente connessa con la memoria della Risurrezione di Cristo. La domenica è il giorno in cui è convocata tutta la comunità; per questo è detta anche “dies Ecclesiae”, il giorno della Chiesa.
In questo giorno l’assemblea cristiana ascolta la Parola di Dio proclamata con abbondanza e solennità. Nella partecipazione, poi, all’unica mensa, si approfondisce la comunione tra quanti sono adunati nello Spirito di Cristo. L’Eucaristia domenicale è così il luogo privilegiato in cui la Chiesa si manifesta come sacramento di unità, “segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano” (Lumen gentium, 1).

[Angelus, 9 agosto 1998]

giovedì 2 settembre 2010

02 settembre 2010 Un pensiero al giorno di Giovanni Paolo II

Fin dagli inizi del cristianesimo la domenica è stata considerata il giorno di Cristo in quanto legata alla memoria della sua risurrezione. Il Signore, infatti, è risorto il “primo giorno dopo il sabato” ed in questo stesso giorno le donne, andate di buon mattino, hanno trovato il sepolcro vuoto. Narra il vangelo che Gesù fu riconosciuto da Maria Maddalena; si accompagnò ai due discepoli nella strada di Emmaus; si manifestò agli undici riuniti insieme e riapparve loro la domenica seguente, vincendo i dubbi dell’incredulo Tommaso. Cinquanta giorni dopo, avvenne la Pentecoste, con la potente effusione dello Spirito Santo sulla Chiesa nascente.
In certo modo, la domenica è la continuazione di queste prime domeniche della storia cristiana: il giorno di Cristo risorto e del dono del suo Spirito.
Diversamente dai calendari civili, la liturgia considera la domenica non l’ultimo giorno della settimana, bensì il primo. In questo modo se ne sottolinea la dignità e si pone in evidenza che, con la risurrezione di Cristo, il tempo “riparte”, fecondato dal germe dell’eternità, e si avvia al suo ultimo traguardo, che è la venuta gloriosa del Figlio di Dio, anticipata e prefigurata dalla sua vittoria sulla morte.

[Angelus, 26 luglio 1998]

mercoledì 1 settembre 2010

Santuario della Madonna di Montevergine



01 settembre 2010 Un pensiero al giorno di Giovanni Paolo II

Il “giorno del Signore” è il giorno che manifesta l’amore di Dio per le sue creature. Da Creatore, Dio si è fatto “sposo” dell’umanità, e l’incarnazione del suo Figlio costituirà il vertice di questo mistico matrimonio. Alla domenica il cristiano è invitato a riscoprire questo sguardo gioioso di Dio e a sentirsene come avvolto e protetto. La nostra vita, nell’era della tecnica, rischia di essere resa sempre più anonima e funzionale al processo produttivo. L’uomo diventa così incapace di godere delle bellezze del creato e, ancora più, di leggere in esse il riflesso del volto di Dio. I cristiani sostano ogni domenica non solo per un’esigenza di legittimo riposo, ma soprattutto per celebrare l’opera di Dio Creatore e Redentore. Da questa celebrazione sgorgano motivi di gioia e di speranza, che danno nuovo sapore alla vita di ogni giorno, e costituiscono un antidoto vitale alla noia, alla mancanza di senso, alla disperazione, da cui talvolta possono sentirsi tentati.

[Angelus, 12 luglio 1998