«A te levo i miei occhi, o Dio» (Sal 122,1).
La Chiesa quando pronunzia queste parole si esprime come un ritmo interiore della nostra intimità con Dio: leviamo i nostri occhi a Dio nella preghiera. Lo facciamo, interrompendo il lavoro tre volte nel corso della giornata e recitando l’Angelus.
Facciamo così molte volte, quando (come dice lo stesso Salmo al v. 4) «siamo troppo sazi» della sofferenza, dell’incertezza, della pena.
Allora cerchiamo l’appoggio in Dio. Incominciamo a pregare perfino senza parole: leviamo gli occhi a Dio, leviamo l’anima, tutto il nostro essere. Con la preghiera si esprime interamente il modo cristiano della nostra esistenza. La preghiera è la prima e fondamentale condizione della collaborazione con la grazia di Dio. Bisogna pregare per avere la grazia di Dio - e bisogna pregare per poter cooperare con la grazia di Dio. Tale è il vero ritmo della vita interiore del cristiano. Il Signore parla a ciascuno di noi, così come ha parlato all’Apostolo: «Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza».
[Angelus, 4 luglio 1982]
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