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SPIRITO SANTO

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"VIENI, .."

BUONA S. PASQUA

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La Resurrezione di Gesù porti il Suo Amore nei nostri cuori

Nel Corpo e nel Sangue di Gesù

Ciascun uomo possa "sentire e gustare" la presenza di Gesù e Maria, SS. Madre della Pentecoste, nella propria vita, in ogni attimo della propria giornata.

Nella Vita e nella Parola di Gesù l'uomo trovi la sua vera dimensione e riesca ad esprimerla con Amore e Carità.

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Il Papa venuto da lontano....

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venerdì 19 novembre 2010

19 novembre 2010 Un pensiero al giorno di Giovanni Paolo II

Coloro che sono partecipi delle sofferenze di Cristo hanno davanti agli occhi il mistero pasquale della Croce e della risurrezione, nel quale Cristo discende, in una prima fase, sino agli ultimi confini della debolezza e dell’impotenza umana: egli, infatti, muore inchiodato sulla Croce.
Ma se al tempo stesso in questa debolezza si compie la sua elevazione, confermata con la forza della risurrezione, ciò significa che le debolezze di tutte le sofferenze umane possono essere permeate dalla stessa potenza di Dio, quale si è manifestata nella Croce di Cristo.
In questa concezione soffrire significa diventare particolarmente suscettibili, particolarmente aperti all’opera delle forze salvifiche di Dio, offerte all’umanità in Cristo.
In lui Dio ha confermato di voler agire specialmente per mezzo della sofferenza, che è la debolezza e lo spogliamento dell’uomo, e di voler proprio in questa debolezza e in questo spogliamento manifestare la sua potenza. Con ciò si può anche spiegare la raccomandazione della prima Lettera di Pietro: «Ma se uno soffre come cristiano, non ne arrossisca; glorifichi anzi Dio per questo nome».

[Salvifici doloris, 23]
 
23. La sofferenza, infatti, è sempre una prova — a volte una prova alquanto dura —, alla quale viene sottoposta l'umanità. Dalle pagine delle Lettere di San Paolo più volte parla a noi quel paradosso evangelico della debolezza e della forza, sperimentato in modo particolare dall'Apostolo stesso e che insieme con lui provano tutti coloro che partecipano alle sofferenze di Cristo. Egli scrive nella seconda Lettera ai Corinzi: « Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo »(72). Nella seconda Lettera a Timoteo leggiamo: « E' questa la causa dei mali che soffro, ma non me ne vergogno: so infatti a chi ho creduto »(73). E nella Lettera ai Filippesi dirà addirittura: « Tutto posso in colui che mi dà la forza »(74).
Coloro che sono partecipi delle sofferenze di Cristo hanno davanti agli occhi il mistero pasquale della Croce e della risurrezione, nel quale Cristo discende, in una prima fase, sino agli ultimi confini della debolezza e dell'impotenza umana: egli, infatti, muore inchiodato sulla Croce. Ma se al tempo stesso in questa debolezza si compie la sua elevazione, confermata con la forza della risurrezione, ciò significa che le debolezze di tutte le sofferenze umane possono essere permeate dalla stessa potenza di Dio, quale si è manifestata nella Croce di Cristo. In questa concezione soffrire significa diventare particolarmente suscettibili, particolarmente aperti all'opera delle forze salvifiche di Dio, offerte all'umanità in Cristo. In lui Dio ha confermato di voler agire specialmente per mezzo della sofferenza, che è la debolezza e lo spogliamento dell'uomo, e di voler proprio in questa debolezza e in questo spogliamento manifestare la sua potenza. Con ciò si può anche spiegare la raccomandazione della prima Lettera di Pietro: « Ma se uno soffre come cristiano, non ne arrossisca; glorifichi anzi Dio per questo nome »(75).
Nella Lettera ai Romani l'apostolo Paolo si pronuncia ancora più ampiamente sul tema di questo « nascere della forza nella debolezza », di questo ritemprarsi spirituale dell'uomo in mezzo alle prove e alle tribolazioni, che è la speciale vocazione di coloro che sono partecipi delle sofferenze di Cristo: « Noi ci vantiamo anche nelle tribolazioni, ben sapendo che la tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza. La speranza poi non delude, perché l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo, che ci è stato dato »(76). Nella sofferenza è come contenuta una particolare chiamata alla virtù, che l'uomo deve esercitare da parte sua. E questa è la virtù della perseveranza nel sopportare ciò che disturba e fa male. L'uomo, così facendo, sprigiona la speranza, che mantiene in lui la convinzione che la sofferenza non prevarrà sopra di lui, non lo priverà della dignità propria dell'uomo unita alla consapevolezza del senso della vita. Ed ecco, questo senso si manifesta insieme con l'opera dell'amore di Dio, che è il dono supremo dello Spirito Santo. Man mano che partecipa a questo amore, l'uomo si ritrova fino in fondo nella sofferenza: ritrova « l'anima », che gli sembrava di aver « perduto »(77) a causa della sofferenza

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